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10:23:00 - 18 OTTOBRE 2014

6 condanne per "Italia che lavora"

6 condanne per "Italia che lavora" -

Sei condanne, un'assoluzione e un non doversi a procedere nel processo "Italia che lavora. Il sostituto procuratore antimafia Francesco Tedesco aveva chiesto al gup Antonino Scortecci la condanna a 4 anni e sei mesi di carcere per Domenico Pelle, classe 1975, accusato di illecita concorrenza aggravata dalle modalità mafiose. Il trentanovenne originario di San Luca è coinvolto insieme ad altre sette persone nel processo abbreviato scaturito dall’indagine. Secondo la Procura Antimafia gli imputati, insieme ad altri, avevano creato un vero e proprio "cartello" di imprese che, grazie ai rapporti con elementi di spicco delle cosche più influenti operanti a San Luca, si accaparrava, direttamente o indirettamente, lavori pubblici realizzati nella cittadina della Locride. La posizione di Pelle era stata stralciata e nell’udienza dell’undici luglio scorso il pm antimafia chiese al gup la condanna a 10 anni di carcere per Francesco Stipo, a 5 anni e 2 mila euro di multa per Antonio Stipo, a 3 anni di carcere e mille euro di multa per Francesco Nirta mentre ammontava a 4 anni di reclusione la richiesta per Antonio Cosmo e Francesco Mammoliti. Per Domenico Cosmo il pm chiese 5 anni e 6 mesi di carcere e il pagamento di 3 mila euro di multa mentre per Domenico Costanzo invocò 4 anni e 6 mesi di carcere più 2 mila euro di multa. L’udienza è stata aggiornata a ieri, giorno in cui dopo gli ultimi interventi difensivi il gup Scortecci ha emesso la sentenza. 4 anni ciascuno per Domenico Pelle, Francesco Stipo, Domenico Costanzo, Antonio e Domenico Cosmo, a Francesco Mammoliti. Unico assolto da tutte le accuse ad Antonio Stipo. L’operazione "Italia che lavora" scattò il quattro febbraio scorso. I Carabinieri eseguirono la custodia cautelare emessa dal gip reggino nei confronti di 11 persone accusate a vario titolo associazione mafiosa, illecita concorrenza volta al condizionamento degli appalti pubblici, frode nelle pubbliche forniture e furto di inerti, con l’aggravante delle modalità mafiose. In particolare, dal monitoraggio di nove appalti pubblici banditi dal Comune di San Luca, dalla Provincia di Reggio Calabria e dalla Regione Calabria per opere da eseguirsi a San Luca per un ammontare complessivo di 5,5 milioni di euro, secondo l’accusa è emerso l’accaparramento grazie ad atti di concorrenza sleale volti al controllo o comunque al condizionamento dell’aggiudicazione e della successiva esecuzione dei lavori. Gli indagati secondo gli inquirenti avevano stretto un accordo collusivo che mirava, attraverso la predisposizione fraudolenta di offerte e attraverso rapporti di sub-appalto lecito o illecito dei lavori, all’imposizione esterna della scelta delle ditte destinate ad aggiudicarsi gli appalti o comunque a eseguire, di fatto, i lavori sulla base di una logica spartitoria dettata dagli equilibri mafiosi esistenti nel territorio di San Luca fra il 2005 e il 2009. L’operazione "Italia che lavora" trae origine da un’indagine avviata nel 2005 dai carabinieri di San Luca in cui sono poi confluite le risultanze di altre inchieste come "Crimine", "Reale", "Saggezza"e "Metano a San Luca".

PINO GAGLIANO  

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