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17:51:00 - 24 FEBBRAIO 2015

'Ndrangheta, metà della cocaina sequestrata in Italia arriva a Gioia Tauro

'Ndrangheta, metà della cocaina sequestrata in Italia arriva a Gioia Tauro -

"La 'Ndrangheta, ha un'organizzazione unitaria ed è composta da una sorta consiglio di amministrazione della holding che elegge il suo presidente". Lo afferma la Direzione nazionale antimafia nella relazione presentata oggi.

"Del resto - osservano gli investigatori - era difficilmente ipotizzabile che ad amministrare centinaia di milioni di euro, a governare dinamiche economiche, lecite ed illecite, in decine di comparti diversi e che attraversano, non solo l'Italia, ma buona parte del pianeta (dall'Australia al Sud America, dall'Europa al Nord America passando per tutti i possibili paradisi fiscali ), potesse essere questione affidata allo spontaneismo anarcoide di gruppi criminali disseminati e slegati, di decine e decine di cosche e locali, sorta di piccole monadi auto-referenziali". Le indagini hanno evidenziato a Reggio Calabria la perdurante posizione di assoluta primazia della 'ndrangheta nel traffico internazionale di stupefacenti, ha generato, e continua a generare, "imponenti flussi di guadagni in favore della criminalità organizzata calabrese che reinveste, specie nel settore immobiliare, i proventi questa attività".

Traffico consentito anche e soprattutto dal controllo totalizzante del Porto di Gioia Tauro - rivela la Dna - dove gli 'ndranghetisti riescono a godere di ampi, continui, inesauribili, appoggi interni. Il Porto di Gioia Tauro è divenuto la vera porta d'ingresso della cocaina in Italia. Nel solo periodo tra giugno 2012 e Luglio 2013 quasi la metà della cocaina sequestrata in Italia (circa 1600 kg su circa 3700 complessivi ) è stata intercettata a Gioia Tauro.

"A Bologna è stata accertata l'esistenza di un potere criminale di matrice 'ndranghetista la cui espansione, al di là di ogni pessimistica previsione», vede coinvolgimenti con apparati politici, economici ed istituzionali. A tale livello che quella che una volta era orgogliosamente indicata come una Regione modello di sana amministrazione ed invidiata per il buon livello medio di vita dei suoi abitanti, oggi può ben definirsi terra di mafia nel senso pieno della espressione, essendosi verificato quel fenomeno cui si era accennato nella relazione dello scorso anno, quando si era scritto di una infiltrazione che ha riguardato, più che il territorio in quanto tale con una occupazione militare, i cittadini e le loro menti; con un condizionamento, quindi, ancor più grave". È quanto scrive la Direzione nazionale Antimafia nella relazione 2014 presentata oggi a Roma.

Gli investigatori considerano ancora più grave il fatto che "questa realtà non si è creata come effetto di un contagio delle terre emiliane dovuto alla presenza della 'ndrangheta negli altri territori dell'Italia settentrionale (ovvero in buona parte della Lombardia, Piemonte e Liguria), bensì per ragioni ed in forza di dinamiche criminali distinte. E dunque in Emilia la 'ndrangheta parla l'accento della zona di Crotone che si fonde con quello locale, ed è specificamente riferibile, al potente sodalizio mafioso di Cutro. L'influenza di questo sodalizio si estende anche ad altri territori della limitrofa Lombardia (sostanzialmente corrispondenti all'area di competenza del Distretto di Brescia) e del Veneto".

A Milano predominano organizzazioni criminali di origine calabrese a discapito di altre compagini associative, come quella di origine siciliana. È quanto emerge ancora. Con specifico riferimento alle indagini sulla criminalità organizzata calabrese, gli investigatori affermano che la 'ndrangheta, dopo anni di insediamento in Lombardia, ha acquisito "un certo grado di indipendenza rispetto all'organizzazione di origine, con la quale ha continuato comunque ad intrattenere rapporti. I suoi appartenenti, infatti, vivendo al nord ormai da più generazioni, hanno progressivamente acquisito una piena conoscenza del territorio e consolidato rapporti con le comunità locali e privilegiando contatti con rappresentanti della politica e delle istituzioni locali. La presenza sul territorio lombardo di strutture 'ndranghetiste e il radicamento nella struttura sociale e negli assetti economici lombardi - è detto nella relazione - spiega la serie innumerevole di episodi di intimidazione, accertati dall'inizio del 2006 e in qualche modo riconducibili al fenomeno mafioso. Ne è emerso un quadro inquietante - afferma la Dna - costituito da un imponente numero di fatti intimidatori, tutti caratterizzati dall'omertà delle vittime".

"A fronte di tanti segni di falsa religiosità, chi doveva coglierli e contrastarli davanti allo stesso popolo non lo ha fatto; preti e vescovi in Calabria, Sicilia e Campania sono stati, salvo rare e nobilissime eccezioni, silenti e hanno perfino ignorato messaggi forti che pur provenivano dall'alto: basti pensare a quelli di Giovanni Paolo II ad Agrigento e di Benedetto XVI a Palermo".

Tra i segni "concreti di cambiamento", la Dna ricorda il decreto del vescovo di Acireale del 20 giugno 2013, che ha vietato nella sua diocesi il funerale in chiesa al mafioso condannato che non abbia manifestato, "nel faro esterno, alcun segno di ravvedimento; provvedimento questo certamente innovativo e che quasi anticipa il senso religioso della scomunica lanciata ai mafiosi da Papa Francesco in Calabria".

"In questa occasione - osserva la Dna - il Papa ha pronunciato parole di grande impegno, quasi un programma antimafia e dopo quella visita l'atteggiamento della chiesa locale è cambiato: sono così finalmente risuonate esplicite parole di condanna contro quella blasfema manifestazione di finta religiosità avvenuta a Oppido Mamertino e sono stati maggiormente sostenuti giovani preti che operano sull'esempio di due eroi dell'antimafia che sono don Peppino Diana e don Pino Puglisi, uccisi a causa dei valori che divulgavano".

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