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07:30:00 - 02 APRILE 2015

Santa Messa crismale 2015 (Cattedrale di Gerace, 1 aprile 2015) Ai miei fratelli nel sacerdozio!

Santa Messa crismale 2015 (Cattedrale di Gerace, 1 aprile 2015)  Ai miei fratelli nel sacerdozio! -

Ai miei fratelli nel sacerdozio!

 

“Non voi avete scelto me”.

E’ inutile nascondere che provo un’indicibile emozione in questa prima celebrazione della Messa crismale. Da trentanove anni l’ho vissuta, ogni anno, ininterrottamente, insieme agli altri fratelli nel sacerdozio. E’ stato un appuntamento che non ho mai mancato e che mi ha sempre dato tanto. Soprattutto in certi momenti. Ritrovarsi con i confratelli attorno al vescovo era quasi un bisogno. La ragione era sempre la stessa: lodare e ringraziare il Signore per il dono della fede e del sacerdozio. Oggi per me questa celebrazione assume un senso diverso. La vivo con una responsabilità in più. E’ vero per me quanto scrive S. Agostino: “Se da una parte mi spaventa ciò che io sono per voi, dall’altra mi conforta il fatto che sono con voi”. Per la nostra vicinanza e amicizia rendo grazie a Dio: Il Signore che mi ha condotto passo passo. Ha usato tanta pazienza e misericordia verso di me. Ho sentito la sua mano, quando stentavo a seguire i suoi passi o pensavo più a me stesso e ai miei progetti che al suo disegno. Quando avvertivo il peso della debolezza e del peccato, la tentazione di voltarmi indietro o cambiare strada, l’amarezza di scelte sbagliate. E’ sempre rassicurante sentirci dire dal Pastore dei pastori: “Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituito perché andiate e portiate frutto” (Gv 15,16). E’ una scelta che nasce dal suo amore, una scelta che è ricaduta su di noi, qualunque sia la situazione personale di ciascuno. Per il Signore che ci ha scelti nessuno è “moneta falsa” (Sap 2,16). Egli sa avvalersi delle nostre povertà e limiti. E’ Lui al timone della barca, la guida e la regge in modo da non affondare. Ciò che chiede è che non ci tiriamo indietro, che non ci arrendiamo. Il Signore non si lascia spaventare dai nostri tradimenti e infedeltà.

Ha scelto anche Giuda

Come non ha avuto paura di accogliere nel gruppo dei Dodici uno come Giuda. L’ha ammesso alla sua ultima cena. Lo chiama “amico”: un segno dell'infinita tenerezza della sua carità. La presenza di Giuda è il fatto più inquietante tra quelli che si susseguono alla vigilia della passione del Signore. E’ la presenza del nemico “invisibile” in un gruppo di amici, di colui che colpisce nel momento e nel luogo dove era necessaria invece la fiducia. Gesù non ignora questa presenza, non la nasconde; ma insieme non svela Giuda, non lo accusa e non discute con lui, non cerca di difendersene. I dodici invece cercano di scoprire chi di loro mente: e in questo tentativo soccombono e cadono nella tentazione del sospetto reciproco generalizzato, dell’accusa e della divisione. E’ così che ha inizio la crisi di un rapporto di fraternità (anche sacerdotale): dal timore di essere traditi e scoperti, dalla paura che un altro ne approfitti, dalla pretesa di mettere alla prova e verificare l’attendibilità dell’altro. Pensiamo quanti disaccordi, quante offese, quante ingiustizie nascono nella nostra vita dal sospetto.

Signore, illumina la mia mente, la nostra mente, e aiutaci ad accettare che per sedere alla tua mensa, alla mensa della fraternità sacerdotale, è necessario fidarsi l’uno dell’altro, pur conoscendo il prezzo che può costare questa fiducia.

Davanti agli occhi del Signore, siamo sempre i suoi amici. Sentirci chiamare così da Lui, mentre soffre l’agonia, sentirci accettati così come siamo è la nostra vera Pasqua. “Perché la Pasqua – come diceva don Primo Mazzolari - è questa parola, detta a un povero Giuda come me, detta a dei poveri Giuda come voi. Questa è la gioia: che Cristo ci ama, che Cristo ci perdona, che Cristo non vuole che noi disperiamo. Per Lui, noi saremo sempre gli amici”. E’ bello, in questo momento di intimità col Signore, riscoprire questa grande verità.

Vi ho scelti perché andiate”.

Con questo invito ad “andare” il Maestro cosa ci chiede? Cosa si aspetta da noi? Non certo il fuggire o l’evadere dalle nostre responsabilità né un andare a spasso senza scopo e senza meta da vacanzieri della domenica. Tutt’altro. E’ un invito ad andare, un andare per «portare molto frutto». E’ il prendere il largo e gettare le reti per una pesca più abbondante. È il dare compimento alla sua promessa: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini» (Mt 4, 19). Quest’andare piace tanto a Gesù, che percorreva città e villaggi in cerca dei peccatori, per convertirli. “Andare” per noi è partecipare al suo andare, per ritrovare la pecorella smarrita, per recuperare la dramma perduta. È quell’andare che deriva dall’essere mandati, comando che egli ha ricevuto dal Padre per farsi incontro ad ogni uomo, perché tutti siano salvi. Quell’andare che ancora Egli comunica e continua in ciascuno di noi.

La prima volta con Voi.

Sento attorno a me la presenza di un presbiterio fedele, di sacerdoti pronti a cooperare nella missione apostolica. Ho apprezzato la disponibilità della maggior parte di voi (ma vorrei poter dire di tutti) ad accogliere ogni sollecitazione a spazi di condivisione sacerdotale, partecipando ai ritiri, agli incontri di vicaria, ai momenti conviviali, spesso organizzati nelle parrocchie. Credo che tutto questo possa essere una piccola goccia a favore della crescita della nostra fraternità. Mi avete aperto le porte di tante piccole e belle comunità. Ho potuto apprezzare la bellezza non solo dei luoghi, ma anche della fede della nostra gente. Mi avete dato possibilità di abbracciare il malato ed il bisognoso, i giovani e i ragazzi, di parlare alle famiglie ed ai fidanzati. Questo non mi ha fatto sentire la mancanza di una relazione con la gente che aveva tanto segnato la mia vita e aveva dato senso e valore al mio sacerdozio. Mi sento più prete, anzi sento la pienezza dell’essere prete. Vi chiedo di continuare camminare a vivere nell’unità del presbiterio con fiducia e speranza, ma anche con franchezza e rispetto l’uno verso per l’altro. C’è in tutti una comune dignità che ci rende “ministri della sua grazia” o, come dice il profeta Isaia, “sacerdoti del Signore e ministri del nostro Dio.

Con ammirazione e gratitudine

In questo momento di grande intimità sacerdotale, interpretando anche i sentimenti della comunità diocesana, sento di esprimere ammirazione e gratitudine per quello che fate! Ho davanti a me le non facili sfide che ricadono su di voi e rendono gravoso il ministero. Conosco le difficoltà e l’impegno con cui lavorate in piccole comunità, molte sparse in un territorio aspro e accidentato. A contatto con queste realtà mi rendo conto quanto sia difficile “rifare il tessuto cristiano delle stesse comunità ecclesiali”[1]. Non sempre le strutture pastorali rispondono ai bisogni concreti delle comunità. Molti edifici di culto manifestano i segni della vecchiaia, spesso “fanno acqua”. C’è da parte mia la disponibilità a condividere le vostre fatiche e difficoltà, e soprattutto a prendermi cura del vostro ministero. Credo che la nostra sia la condizione ideale per invocare il principio di solidarietà, in modo che le comunità in condizioni migliori si prendano cura di quelle più povere.

Canterò in eterno le tue lodi!

Abbiamo esclamato col salmista: Canterò per sempre l’amore del Signore” (Sl 88). Mai finiremo di lodare e ringraziare il Signore del dono del sacerdozio. Un dono che ha cambiato la nostra vita e le ha dato una direzione imprevedibile. Anche quando la fatica quotidiana si fa sentire, la solitudine ti prende e sembra spegnere ogni entusiasmo, accogliamo l’esortazione di Paolo a Timoteo: “Ti ricordo di ravvivare il fuoco del dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani” (cfr 2 Tm 1,6). L’Apostolo chiede di “ravvivare” il dono ricevuto, nel senso di accoglierlo senza mai dimenticare la “novità permanente”, propria di ogni dono di Dio, e di viverlo nella freschezza e bellezza originaria. Non lasciamoci prendere da quel senso di stanchezza e di arrendevolezza, oltre che di noia, che rende ancora più lento il nostro cammino. Sappiamo però che ravvivare la ricchezza e bellezza del sacerdozio, non è possibile se viene a mancare il suo fondamento, che è dato dalla la fede. E’ la fede “il caso serio della vita”. Non si può dare per scontata. Lo fa intendere Gesù stesso, quando rimprovera i suoi per la “poca fede”. A Pietro che sta affondando, tende la mano, lo afferra, lo guarda, lo risolleva sulle onde: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?” (Mt 14,31). Papa Francesco nel suo discorso all’Assemblea Generale della CEI nel maggio 2014 poneva ai Vescovi una domanda “seria”: “Chiediamoci: Chi è per me Gesù Cristo? Come ha segnato la verità della mia storia? Che dice di Lui la mia vita? La fede, fratelli, è memoria viva di un incontro, alimentato al fuoco della parola, che plasma il ministero e unge tutto il nostro popolo; la fede è sigillo posto sul cuore: senza questa custodia, senza la preghiera assidua, il Pastore è esposto al pericolo di vergognarsi del vangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sapienza mondana”.

Cristo, Tu ci sei necessario!

Cristo interpella quotidianamente ciascuno di noi. Lasciamoci da Lui interrogare nella profondità del nostro cuore. Troviamo però il coraggio di dirgli: “Cristo, tu ci sei necessario” (Paolo VI). Non possiamo fare a meno di Te. Noi tutti, sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi, seminaristi, fedeli, credenti e non (in ciascuno di noi vi è fede e incredulità), sappiamo che, con o senza fede, con molta o poca fede, le cose cambiano. La fede può trasformare la nostra esistenza, rendere le nostre relazioni più fraterne, più leali e corrette. Solo se ci lasciamo amare da Lui saremo liberati “dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia[2].

Il presbiterio, spazio di fraternità

Condivido quanto i Vescovi italiani hanno scritto nell’ultima Lettera ai Sacerdoti: “il cammino che ci aspetta non può che essere compiuto insieme, in un presbiterio che diventa luogo di paternità e fraternità, di discernimento e di accompagnamento”. Abbiamo iniziato un percorso di formazione permanente, sapendo quanto sia importante camminare insieme, condividere le diverse problematiche, l’aggiornamento teologico-pastorale. Ringrazio tutti per aver preso sul serio questa proposta, anche se qualcuno ha stentato ad inserirsi nel percorso con la stessa continuità ed impegno. Continueremo. Sono convinto che insieme, in quella comunione che il sacramento costituisce tra noi, possiamo intravedere e percorrere i sentieri che lo Spirito di Dio ci suggerisce per essere pastori secondo il suo cuore. 

L’appartenenza al presbiterio e l’impegno a camminare in sintonia determinano in modo essenziale il nostro essere sacerdotale. Il servizio pastorale e la fraternità nel presbiterio sono due espressione di un vissuto di fede che fa della nostra vita un dono. E’ di ostacolo ogni atteggiamento che disgrega, divide, separa, impedisce di essere seminatori di vita. Forse oggi le ”teologie”, i “discorsi su Dio” per quanto importanti, non bastano più. Ci vogliono uomini che trattano il Signore da Signore, che contemplino di più il suo volto, che operino nel segno della gratuità e senza la ricerca dell’umano compenso, che si fidino di Lui!

 

In una fedeltà che si rinnova

 

In questa celebrazione i nostri pensieri ritornano all’ora, in cui il Vescovo, mediante l’imposizione delle mani e la preghiera consacratoria, ci ha introdotti nel sacerdozio di Gesù, e ci ha “consacrati nella verità” (Gv 17,19). Fra poco ci sarà richiesto di rinnovare la nostra fedeltà a Cristo e alla Chiesa. “Volete unirvi più intimamente al Signore Gesù Cristo e conformarvi a Lui, rinunziare a voi stessi e rinnovare le promesse, confermando i sacri impegni che nel giorno dell’Ordinazione avete assunto con gioia?”.  Non è un invito formale, ma il rinnovo di una fedeltà che tocca tutto il nostro essere. Ci è richiesto che noi, che io non viva più per me stesso, e che la mia vita sia centrata in Cristo.

Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore”.

Questo Vangelo della misericordia, che si realizza in pienezza nella persona di Gesù, illumina il nostro cammino apostolico.

Lasciamoci interpellare nell’intimo: Come vivo qui ed ora la mia donazione al Signore e alla Chiesa? Posso dare di più? Come posso realizzare meglio la mia conformazione a Cristo, in questa situazione concreta? con questi confratelli? Nella comunità che mi è stata affidata? Una cosa è certa: una più profonda unione a Cristo vissuta nella sua Chiesa e nella fraternità del presbiterio rende più vera, più bella e affascinante la vita sacerdotale.

Per amore di Cristo e della sua Chiesa

Dobbiamo, carissimi fratelli nel sacerdozio, coltivare l’intima relazione con Gesù, se vogliamo vivere la missione apostolica secondo il suo cuore. Solo centrando su Cristo la nostra esistenza sapremo vivere la chiamata a servizio della Chiesa. Un sacerdote, dal cuore grande come don Primo Mazzolari, scriveva chesolo colui che ama Cristo può custodire e pascere le sue pecorelle, perché solo colui che ama Cristo può essere riconosciuto dalle sue pecorelle: perché solo colui che ama vede nelle anime il Cristo e le sa rispettare, aiutare, venerare come membra stesse di lui; perché solo colui che ama può mutare l’autorità in servigio”[3]. Come sottolineavano i Vescovi italiani nella Lettera ai sacerdoti del novembre scorso, “solo una generosa e fedele passione per Gesù genera una passione grata e gratuita per il suo popolo e una matura capacità di stare tra la gente con leggerezza, gratitudine e intima beatitudine”. Il ministero pastorale si vive, facendo nostri i problemi e disagi della nostra gente, trovando tempo e modi concreti di ascolto, prendendone a cuore le sorti. Senza stancarsi, senza lasciarsi condizionare da atteggiamenti ostili e indisponenti. Mi piace richiamare ancora il pensiero di don Mazzolari, per il quale “il prete di adesso è colui che è convinto che 'predicando soltanto non si fa la rivoluzione cristiana'. Il prete di adesso è colui che ha capito che 'ci si salva salvando: ci si salva con gli altri, ci si salva insieme'. Il prete di adesso è uno che ama la Chiesa perdutamente, perché la Chiesa è la custode dell’Eterno e io voglio rimanere nell’Eterno”.

A servizio della carità

Non dobbiamo dimenticare che il nostro ministero sacerdotale è un dono di grazia non solo per noi ma per tutta la chiesa. Insieme al culto e alla evangelizzazione, esso abbraccia la carità: “anche il servizio della carità è una dimensione costitutiva della missione della Chiesa ed è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza[4]. Senza l’opzione preferenziale per i poveri, ricordava all’inizio del terzo millennio san Giovanni Paolo II, “l’annuncio del vangelo, che pur è la prima carità, rischia di essere incompreso o di affogare in quel mare di parole a cui l’odierna società della comunicazione quotidianamente di espone[5]. La carità sia il cuore della nostra azione. Ritrovando nell’Evangelii Gaudium le nostre linee programmatiche, lasciamoci guidare da un rinnovato entusiasmo e dalla fantasia della carità. Promoviamo con tutte le nostre energie la corresponsabilità dei laici, in particolare nell’azione ed organizzazione delle Caritas parrocchiali, in modo da renderle segno e strumento di solidarietà ecclesiale, antenne capaci di leggere il territorio e di coglierne i veri (non i falsi) bisogni.

Con uno sguardo attento al fenomeno associativo

Permettetemi, in ultimo, di chiedervi una maggiore attenzione al fenomeno associativo: rientra nella nostra sensibilità pastorale accompagnare ed incoraggiare tutte le forme aggregative presenti in Parrocchia: i movimenti ecclesiali, la associazioni cattoliche, i gruppi dei ministranti, i cori parrocchiali. Sono una ricchezza per la nostra Chiesa e favoriscono il rinnovamento in senso missionario della nostra azione. Non dimentichiamo che dai movimenti e all’interno della spiritualità dei gruppi e movimenti possono nascere delle vocazioni. Raccomando in particolare di seguire spiritualmente le Confraternite: non sono un “corpo estraneo” alla Chiesa. Mi avvalgo della vostra collaborazione per esercitare la dovuta cura e vigilanza. Non credo ad una Chiesa troppo clericale, ove non si dà il giusto valore al carisma laicale. Camminiamo in modo da favorire la corresponsabilità laicale. Fondamentale è la nostra azione diretta a sviluppare nei fedeli laici il gusto dell’appartenenza ecclesiale e dello stare insieme! A noi sacerdoti viene richiesta sempre maggiore disponibilità di tempo e di ascolto. I fedeli ci vogliono più dediti alla preghiera e alla vita spirituale, con il Breviario in mano, entusiasti nel dispensare loro la Parola.

Quel profumo di bergamotto

E tutta la casa si riempì del profumo dell’unguento”. Qual è questo profumo d’unguento con cui riempire la casa e qual è questo buon profumo di Cristo che dobbiamo diffondere? Il profumo che deve riempire la casa è lo spirito di fraternità sacerdotale. Come quello acquistato da Maria di Betania: quest’olio ha un prezzo carissimo. E noi dobbiamo pagarlo, senza sconti, perchè non è un prodotto commerciale in vendita né è frutto dei nostri sforzi. E’ il grande dono che oggi vogliamo chiedere dal Signore. Come il profumo del nostro bergamotto, che la nostra Chiesa anche quest’anno ha provveduto a distribuire in tutte le Chiese d’Italia, rende più prezioso il sacro crisma, così lo spirito di fraternità rende il nostro presbiterio più gradito al Signore.

A voi, carissimi fratelli nel sacerdozio, consegno queste riflessioni, perché da esse possa svilupparsi una condivisione di propositi e preghiere.

A Te, Signore!

Conserva, Signore, nei giovani sacerdoti la gioia dell’inizio. Rafforza l’entusiasmo della loro giovane età, il bisogno di rinnovamento, la gioia di consumare la vita per te, senza mai risparmiarsi o delegare agli altri quello che ciascuno può fare.

Ti chiedo di confermare nella fede e nella speranza i confratelli che hanno più anni di sacerdozio. Quella fede che, senza mai venir meno, è capace di infondere tanta gioia in coloro che avvertono il peso del ministero.

Sostieni quei preti che hanno il coraggio di “cambiare” di fronte ad ogni situazione che si trascina stancamente e che accettano di mettersi in gioco “per amore della nostra chiesa”.

Risplenda nei sacerdoti più anziani e malati la fiducia in Te, Signore, e non venga mai meno in loro la speranza.

Sento che dalla felicità della liturgia celeste partecipano a questo nostra assemblea don Fabio, don Achille, padre Giuseppe Castelli e gli altri fratelli che hanno portato a termine le loro fatiche terrene.

 “A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen”.

                                                                                              

   X Francesco Oliva



[1] ChL 34

[2] EG n.1

[3] P. MAZZOLARI, Anch’io voglio bene al papa, Bologna 1978, p. 29

[4]BENEDETTO XVI, Intima Ecclesiae natura, 11 novembre 2012

[5]GIOVANNI PAOLO II, Novo millennio ineunte, 50.

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